







Non ci sembra di dire un’eresia affermando che i due anni di pandemia, chiusura delle scuole e dad hanno accentuato prepotentemente molte criticità della scuola italiana.
Prima fra tutte gli spazi, quelli reali: le aule, le strutture, insomma l’edilizia scolastica, quella fatiscente che non fornisce mezzi e ambienti adeguati, né da un punto di vista quantitativo, né in termini qualitativi, a studenti e lavoratori. La Fondazione Agnelli (sigh!) nel 2019 sosteneva che per ristrutturare e rinnovare i 40mila edifici scolastici oggi attivi servirebbero circa 200 miliardi di euro1. Pare che il PNRR ne abbia attivati ad oggi 500 milioni (su circa 4 miliardi previsti)2!
Oltre a questo, perdura ancora oggi la severa mancanza di docenti e personale della scuola con stipendi sempre più bassi, aggravati da aumenti indiscriminati del carico di lavoro e inflazione galoppante. A questo si somma uno stuolo di precari3 che lavora in condizioni disastrose, un’ombra che pesa anche sul principio-diritto della continuità didattica degli studenti.
Per non parlare della realtà nascosta dietro ai numeri e alle statistiche, di cui nessuno parla, ovvero i danni socio-culturali-psicologici che la gestione della pandemia ha portato nelle scuola: impennata della dispersione scolastica (scomparsi in media il 12,7% degli studenti, con, ovviamente, picchi enormi al sud4); medicalizzazione (forse meglio dire “psichiatrizzazione”) di ogni minima difficoltà, fino ai più naturali conflitti della crescita; distruzione della abitudine alla socializzazione, all’attenzione attiva, alla condivisione, allo studio della cultura e dei saperi liberi dalle esigenze del mercato del lavoro. Sostituire la scuola con un pc (o meglio, con un cellulare) ha certamente contribuito ad aggravare queste situazioni.
La pronta risposta dell’UE e dei governi a tutto ciò è un intervento per il settore istruzione e ricerca di circa 33 miliardi di euro, “ben addirittura” il 13% del totale del PNRR (in fondo non possiamo lamentarci, dato che al settore salute è toccato il 9%!). Ma se i settori scuola e sanità coprono poco più del 20% degli investimenti, l’altro 80%, cioè la stragrande maggioranza, per cosa è stanziato? Cosa c’è di più importante, in piena crisi post-pandemica, del diritto alla salute, al lavoro e all’istruzione?
In che modo verranno, inoltre, erogati i fondi assegnati al ministero dell’istruzione (17,50 miliardi di quei 33)? Ad oggi, l’importo autorizzato è stato il 19% della somma totale ed è stato utilizzato per: 2180 interventi per la messa in sicurezza, circa 8000 per la didattica digitale integrata e circa 16000 per la scuola 4.0 (ovvero la digitalizzazione)5.
Edilizia scolastica vs digitale: 1 a 12.
Fondi attivati solo per il Piano Scuola 4.0: più del 60% del totale.
Era proprio quello che occorreva post-pandemia! Una bella pioggia di miliardi (vincolati e in parte da restituire) per costruire aule… vere? Ma no! Ibride e virtuali! Per aumentare spazi e renderli sicuri? Ma no! Per cablaggio e innovazione digitale! Per diminuire le differenze sociali? Ma no! Per comprare pc! Per assumere insegnanti, personale ATA o stabilizzare i precari? Ovviamente no! Per creare laboratori per le professioni digitali!
Sia ben chiaro, non vogliamo criminalizzare l’uso liberamente scelto (nei tempi, nei modi e nei contenuti) di strumenti utili, come l’aereo, il pc, le lim o internet. Sarebbe ottuso da parte nostra. Ma vogliamo porci seriamente il problema degli interessi che ci sono dietro le scelte governative locali ed europee di investire così massicciamente nel digitale piuttosto che nel “finanziare” il diritto allo studio, al lavoro e a una sanità dignitosa. Vogliamo porci il problema dell’acuirsi sempre più di questa pericolosa deriva aziendalistica che da decenni investe la scuola, non più centro di educazione della persona critica e consapevole, ma centro di produzione, in base alle richieste dei privati e del profitto, da un lato di “eccellenze”, dall’altro di buoni e docili futuri lavoratori a tempo indeterminato, precari, sottoccupati, disoccupati lanciati in pasto al mercato del lavoro, o persino destinati a morire in uno stage non retribuito o in un PCTO prima di potervisi affacciare. E a cosa serve un docente-educatore in una scuola del genere? Non a granché. In effetti, potrebbe anche bastare un computer con le lezioni video preconfezionate.
Per approfondire questa e altre tematiche/problematiche della scuola, ti invitiamo a partecipare agli incontri di autoformazione in sede Cobas.
Per info: scuola@cobasnapoli.it
081 5519852
Ottobre 2022, COBAS SCUOLA NAPOLI
1https://www.ilsole24ore.com/art/scuola-sistemare-40mila-edifici-servono-almento-200-miliardi-euro-ACdfxU1
3https://www.orizzontescuola.it/oltre-210mila-precari-nella-scuola-163mila-sono-donne-piu-al-nord-che-al-sud-scarica-i-dati-del-ministero-per-provincia-e-tipologia-di-posto/