







Sulla didattica a distanza c’è confusione e poca chiarezza. Una cosa è la libera decisione da parte dei docenti di usare strumenti informatici nella pratica didattica in presenza o a distanza, ben altra cosa è l’istruzione digitalizzata a distanza, con video lezioni, valutazioni tramite quiz on-line, misurazione dei tempi. Procedure di formazione modellate sull’addestramento in azienda. Noi temiamo che, con il pretesto della straordinaria emergenza sanitaria in corso, si voglia rendere ordinaria nella scuola pubblica l’adozione dell’istruzione digitalizzata a distanza di tipo privatistico.
Sono anni che stanno distruggendo il diritto allo studio, che stanno facendo entrare i privati nella scuola pubblica, che stanno aumentando la precarietà dei lavoratori della scuola. Come mai ora questa accelerazione? Cosa c’entra con un’emergenza sanitaria?
Ecco come e perché, secondo noi, lo si sta facendo e perché siamo fortemente contrari.
L’EMERGENZA
Nella fase emergenziale che stiamo vivendo, caratterizzata tra l’altro dalla sospensione di diritti costituzionali e fondamentali libertà civili, la scuola si trova nuovamente sotto attacco. Si sta, per caso, approfittando dell’emergenza per fare entrare dalla finestra ciò che, almeno fino a questo momento, non si era riuscito a fare entrare dalla porta?
Quanto sta avvenendo, nel clima di grande disorientamento in cui hanno voluto gettare il paese tutto e la scuola in ogni sua componente, è il tentativo di imprimere un’accelerazione al processo di privatizzazione del sistema di istruzione che, iniziato più di un ventennio fa con l’attribuzione ai presidi del ruolo dirigenziale e con l’introduzione dell’autonomia scolastica, è proseguita poi con l’inserimento delle prove Invalsi, dell’alternanza scuola-lavoro, oggi ribattezzata eufemisticamente PCTO, e infine del registro elettronico.
Utilizzando strumentalmente la bandiera del diritto allo studio e contrapponendolo alla libertà di insegnamento, il governo, dopo avere sospeso le attività didattiche, ha previsto che i dirigenti scolastici “attivassero modalità di didattica a distanza” (punto g del Dpcm 4 marzo).
Una didattica, quella a distanza, che non è prevista dal nostro sistema d’istruzione pubblico e che non può essere imposta per decreto. Stesso discorso per il lavoro, gli eufemismi si sprecano, definito agile.
GLI ORGANI COLLEGIALI?
Il Dpcm 4 marzo e le note successive, demandando ai Dirigenti il compito di attivare la cosiddetta didattica a distanza, hanno di fatto lasciato campo libero ad una gestione autoritaria, centralizzata ed arbitraria dell’emergenza, lesiva della libertà di insegnamento e delle prerogative degli Organi Collegiali, già mortificati ed esautorati dalle sciagurate riforme abbattutesi sulla scuola pubblica negli ultimi decenni, e che invece sono la base della democrazia interna e gli unici che dovrebbero decidere della didattica.
Invece, pare che ora non servano più: l’emergenza sanitaria impone strane conseguenze!
CHE SIGNIFICA “FARE SCUOLA”?
Davvero crediamo che fare scuola significhi assegnare esercizi, correggerli e spiegare un argomento nuovo davanti ad uno schermo?
Questa può essere solo l’idea di chi non ha mai messo piede in una classe.
Fare scuola con i ragazzi/e, con i bambini/e e con gli adolescenti, è molto di più: è imparare a condividere spazi e materiali; è discutere insieme e confrontarsi sull’attualità, sui propri problemi relazionali, sulla propria fase di crescita; è imparare a condividere con i compagni dubbi, incertezze, paure, domande; è imparare a seguire ordinatamente il turno di parola, ad ascoltare le opinioni altrui, a rispettarle, a farsene una propria; ad aiutarsi, a lavorare in coppia, in gruppo, gomito a gomito; è imparare a giocare insieme, rispettando le regole; a litigare, ad abbracciarsi e a piangere quando ci sono fallimenti o grandi risultati; significa lavorare con la materia viva delle emozioni veicolate dai corpi, costruire relazioni umane complesse e crescere ogni giorno insieme, in una comunità; significa anche, non ultimo, abitare uno spazio fisico ed averne cura.
E questo, ci dispiace per i fans della didattica digitale, non si può fare che in presenza.
IL DIVARIO NORD-SUD E METROPOLI-AREE INTERNE
Sulla scuola digitalizzata ci preme fare un’ulteriore precisazione. All’indomani del DCPM 4 marzo, sembrava che l’intero Paese si fosse risvegliato improvvisamente in un contesto omogeneo, che si fossero azzerate magicamente tutte le differenze strutturali e sociali tra il nord e il sud della penisola, tra le grandi città e le aree interne. Con le molte riforme che da anni promettono una scuola completamente digitalizzata, magnificandone le sorti progressive, si è scelto di investire in figure prima chiamate obiettivo ed oggi dette strumentali, nell’individuazione di team digitali che, con il viatico della tecnologia informatica, avrebbero dovuto portare la scuola italiana ai livelli di quella europea e le avrebbero dovuto consentire di raggiungere il suo obiettivo principale, la sua mission.
Noi non osteggiamo le nuove tecnologie, ma rifiutiamo la retorica dell’innovazione a tutti i costi che nasconde sotto il tappeto la realtà concreta: ad esempio il fatto che molte scuole, e con esse interi territori, non sono raggiunti da una connessione a banda larga, condizione imprescindibile anche solo per svolgere le ordinarie attività quali l’uso del registro elettronico. Eppure il Ministero non poteva non esserne informato, avendo inviato negli anni numerosi ispettori a far visita alle scuole, al nord come al sud. Doveva conoscere le platee scolastiche e le condizioni materiali descritte nei lunghi PTOF, prima di dare ordini spacciati per suggerimenti!
O forse l’immensa mole di adempimenti burocratici non si è rivelata utile a raccogliere questi dati?
La disparità tecnologica delle scuole e dei territori è invece un dato incontrovertibile, e la didattica digitale a distanza, avendo come presupposto la tecnologia e la connessione in rete, acuisce di fatto il divario tra scuole.
QUALE VALUTAZIONE?
Nelle ultime settimane, subito dopo la sospensione delle attività didattiche, i docenti delle scuole di ogni ordine e grado, hanno messo in campo ogni strumento utile per non interrompere il rapporto educativo con i propri alunni/e e studenti/esse, allo scopo di rompere l’isolamento forzato e di supportarli in questo momento gravoso offrendo loro, in primo luogo, vicinanza umana, in secondo luogo stimoli culturali e spunti per continuare a coltivare le giovani menti.
Da qui alle asfissianti richieste, più o meno velate di minacce, di obbedire ai più fantasiosi obblighi o a presunti doveri morali, il passo è stato breve.
Col pretesto dell’emergenza, il Miur e i Dirigenti scolastici hanno cercato di imporre, a colpi di decreti e note il primo, di circolari i secondi, obblighi di lavoro mai sottoscritti.
Si è andati dall’imposizione dell’utilizzo di questa o quella piattaforma on-line, guarda caso quasi mai scelta fra il software non proprietario ma quasi sempre di proprietà di grandi aziende private[1], alla pretesa di apporre firme di presenza sul registro elettronico, a quella di imporre un’organizzazione del lavoro che rispetti le ore curricolari di ciascuna disciplina, alla richiesta di compilazione di pratiche burocratiche kafkiane sempre all’insegna dell’ossessione per la misurabilità.
Si è richiesto di fissare appuntamenti per le videochiamate, di assegnare compiti, di registrare le assenze, perfino di somministrare verifiche e di procedere alla loro valutazione.
Sulla surreale richiesta di valutare gli studenti attraverso l’interazione online, riteniamo che non sia ipotizzabile nessun tipo di valutazione durante il periodo di sospensione delle attività didattiche in presenza, e questo per diverse ragioni.
In primo luogo, non è possibile conoscere ciò che accade fuori dal campo visivo dello schermo e di conseguenza stabilire se una determinata verifica sia stata svolta o meno autonomamente dagli studenti/esse. In secondo luogo, la Didattica a Distanza esclude automaticamente e totalmente dall’accesso tutti coloro che vivono in situazioni di forte disagio socio-economico (si pensi ai Rom, agli appartenenti a minoranze etniche, culturali o linguistiche, ai ceti meno abbienti); non considera l’amplificato stress psicologico o finanche il pericolo a cui sono sottoposti i ragazzi e le ragazze costretti a vivere tutto il tempo in contesti domestici e familiari disfunzionali o addirittura violenti; esclude gli studenti e le studentesse provenienti da contesti di povertà culturale o anche solo di scarsa alfabetizzazione informatica, in cui il supporto della famiglia è modesto; ha la pretesa di presumere che in ogni nucleo familiare con più figli in età scolare e genitori a loro volta coinvolti in forme di telelavoro ci siano dispositivi e spazio a sufficienza per ognuno; non tiene conto – al di là degli slogan retorici – dell’inclusione degli alunni/e diversamente abili.
La Didattica a Distanza, come concepita dal governo, con le sue ansie di valutare – anche solo la partecipazione alle interazioni online – e di procedere coi programmi, penalizza tutti coloro che più avrebbero bisogno della scuola e pertanto è intrinsecamente classista poiché non rimuove affatto gli ostacoli di ordine economico e sociale, bensì li inasprisce e li cristallizza.
COSA SI SAREBBE DOVUTO FARE?
Va detto con forza allora che, in un momento difficile come questo, in cui la quotidianità di ciascuno è sospesa e in quasi tutti è prepotente la paura, in cui le diseguaglianze sociali e le difficoltà a sopravvivere stanno progressivamente aumentando, l’attuale gestione della scuola pubblica risulta del tutto inadeguata.
Ciò che si sarebbe dovuto fare, viceversa, era lasciare libertà di azione e di iniziativa agli insegnanti (art. 33 Cost.) in modo che potessero gestire in coscienza, col senso di responsabilità che caratterizza il loro ruolo e la loro funzione, questo momento critico; liberi da legacci burocratici e da obblighi di rendicontazione, e consapevoli del fatto che tutto ciò non è didattica e non è scuola, che non può essere che in presenza; che questo non può avvenire che su base volontaria e che in nessun caso queste forme di interazione possono essere considerate ai fini della validità dell’anno scolastico e men che meno della valutazione.
Questo non è avvenuto, invece, e non è casuale.
LA TECNOLOGIA E LE GRANDI MULTINAZIONALI HI-TECH
La tecnologia non può che essere uno degli strumenti a disposizione del docente e del gruppo-classe, e uno strumento non può e non deve diventare un fine.
Passiamo ore ad insegnare ai ragazzi l’uso limitato e consapevole degli smartphone, il fatto che stare troppe ore davanti ad un PC crea seri problemi alla salute, facciamo incontri (a volte organizzati dal Ministero!) sui rischi e i pericoli della rete e ora, improvvisamente, sembra che ce ne siamo dimenticati. Cosa accade se centinaia di migliaia di studenti minorenni iniziano ad inviare informazioni sui propri interessi, sulle proprie preferenze, sui propri studi nella rete, in cui, attraverso algoritmi in teoria riservati, grandi compagnie li usano scientificamente a fini commerciali e di controllo sociale?
Ci preme sottolineare che l’idea della didattica a distanza non è frutto dell’emergenza, ma è stata studiata, programmata, ratificata fin dal 2016, attraverso numerosi accordi siglati tra il Miur e le grandi aziende di e-commerce, di trasporto gas, di analisi dei dati, di hi-tech, holding finanziarie, bancarie, etc.[2]
LE PRIORITA’ DEL PAESE
Per quanto riguarda gli interessi delle multinazionali del Big Tech, quelli più immediati derivano dalla promozione del proprio marchio e dalla vendita di servizi, software e hardware connessi a piattaforme e suite “generosamente” offerte gratuitamente alle scuole (ma per un periodo di tempo limitato, beninteso) e dalla tipologia di formazione richiesta agli alunni. Altri invece scaturiscono dalla natura di queste piattaforme che, essendo private, e quindi lesive della privacy, immagazzinano sempre nuovi dati che, anche se non immediatamente venduti, come stabilito dalle varie, ma debolissime norme esistenti, possono essere, nel momento in cui vanno in rete, utilizzati da algoritmi e venduti ad altri soggetti per scopi commerciali o politici. Sino ad inficiare, come già verificatosi, gli stessi processi democratici: si veda lo scandalo della Cambridge Analytica. Il tutto con ingenti fondi pubblici che finiscono nelle tasche dei privati (come, per esempio, il recente stanziamento di 85 milioni di euro). In un paese dove le scuole cadono a pezzi e vengono spesi meno soldi per i servizi sociali che per la guerra[3], sembra assurdo che in questo momento di grave emergenza sanitaria, si vogliano concedere soldi a Google e company per comprare PC e piattaforme.
I/LE DOCENTI COME LAVORATORI/TRICI FLESSIBILI E DIGITALIZZATI
Piegare la scuola pubblica italiana alla logica del controllo a distanza e all’interiorizzazione dell’agire didattico standardizzato è obiettivo primario di questo progetto “foucaultiano” che trasforma la formazione del cittadino in quella del lavoratore “flessibile” e digitalizzato.
“Il piano di investimento in Italia negli ultimi due anni e mezzo è stato focalizzato in particolare sulla formazione dei ragazzi, oggi però siamo pronti a puntare anche sui lavoratori o sugli adulti che hanno bisogno di essere riaddestrati per adeguarsi alle esigenze di industry 4.0“, queste la parole pronunciate di Agostino Santoni, AD di Cisco Italia, che aggiunge: “Ormai il tema del digitale e della consapevolezza della sua importanza l’abbiamo smarcato, persino nella conversazione politica, con tanta fatica, adesso il tema è un altro: in quanto tempo ce la facciamo a fare l’Italia digitale?”[4]
È da anni che grandi gruppi industriali sovranazionali tentano di imporre un’imponente riduzione della spesa per la scuola pubblica italiana, ritenuta uno spreco non necessario ai loro interessi. In quest’ottica, implementare e normalizzare la didattica a distanza consentirebbe in un futuro non troppo lontano di aumentare il carico di lavoro degli insegnanti (a stipendio invariato, naturalmente) chiedendo loro reperibilità h. 24, come già sta accadendo in questi giorni, consentendo tra l’altro di ammalarsi “senza oneri per lo Stato” lavorando da casa senza necessità di nominare supplenti per assenze prolungate e con la possibilità di rivolgersi ad una platea potenzialmente infinita di studenti, con buona pace della costruzione sociale e collettiva della conoscenza e della cittadinanza.
Va notato infine che, in questa trasformazione, nessuno si è preoccupato del diritto alla salute delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola, costretti a passare molte ore costantemente ai videoterminali, al di là di qualsiasi controllo e con non trascurabili rischi.
È in quest’ottica che la politica ed i governi si sono mossi negli ultimi vent’anni, realizzando le varie riforme che si sono abbattute sul mondo della scuola e che ne hanno snaturato finalità e ruolo.
QUALE SCUOLA E PER QUALE SOCIETÀ?
Se infatti la scuola costituzionalmente intesa dovrebbe essere l’istituzione preposta alla formazione di cittadini, ora risulta sempre più un’agenzia la cui funzione è quella di formare risorse umane, “capitale umano” per le aziende.
Il pericolo fatale per la scuola pubblica è questo, dunque, ed è questo il motivo della nostra opposizione all’introduzione della didattica a distanza digitale.
Essa, infatti, determinerebbe un’ulteriore standardizzazione dell’insegnamento, attraverso l’utilizzo di pacchetti digitali per unità di apprendimento basate sulle competenze, determinando la fine della libertà d’insegnamento affermata dalla Costituzione e, con essa, la fine della scuola pubblica come formatrice di cittadini e individui autonomi dotati di pensiero critico.
Cobas Scuola Napoli
[1] andate a dare un occhio all’impressionante il giro di affari che una quarantina di aziende private fa con il MIUR, a partire da CISCO. Per l’elenco completo v. https://solidarietadigitale.agid.gov.it/#/
[2] [2] solo per fare quache esempio, a parte Cisco, di cui abbiamo già parlato, si possono visionare le agghiccianti mission di altre aziende che stilano protocolli col Miur da anni, come Connexia, che tra l’altro opera nelle scuole per spiegare i pericoli del cyberbullismo!, Italiaonline, Tinexta, Twt connect. Tralasciando, poi, tutti gli accordi che dal 2015 il Ministero fa con Samsung, Microsoft, Google Italy, etc.
[3] [3] https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/02/02/difesa-la-spesa-italiana-crescera-anche-nel-2018-alle-armi-25-miliardi-il-4-in-piu-rispetto-al-2017/4131341/
[4][4] https://www.morningfuture.com/it/article/2018/11/21/agostino-santoni-cisco-reskilling-formazione-italia-digitale/451/