Comunicato-stampa. Solidarietà a Lavinia Flavia Cassaro
Non desta sorpresa, ma fa davvero tremare il linciaggio cui viene sottoposta, in queste ore, la cattiva maestra che “sguaiatamente”, irritando e scandalizzando i benpensanti, ha preso posizione contro lo schieramento delle forze di “pubblica” sicurezza di uno Stato che sdogana apertamente il Fascismo e che, calpestando la Costituzione, ne difende gli esponenti, consentendo loro di tenere comizi elettorali in cui si fa il saluto romano e si promette lo sterminio degli immigrati, anziché “prendere atto” del fatto che il Fascismo, come pare, sembra essere ormai un’opzione ideologica compatibile con l’ordinamento democratico.
Noi restiamo sgomenti rispetto al fatto che non sia questo sdoganamento, bensì la gestualità di Lavinia a disturbare e a disgustare tanta gente che pure da anni assiste alla rottamazione delle istituzioni repubblicane. Ci impressionano le parole usate da celebri opinionisti per stigmatizzare tale gestualità, parole troppo simili a quelle che abbiamo letto nei verbali delle Autorità sulla cui base si disponeva un tempo la reclusione a vita nei manicomi prebasagliani delle “donne agitate”.
Di piazze come quella in cui Lavinia è stata immortalata, a differenza di tanti agenti picchiatori che restano anonimi e ben protetti, conosciamo le drammatiche dinamiche, sicuramente estranee a chi pontifica dai salotti buoni del padronato, gente per cui sarebbe lei, l’antifascista, a incarnare i disvalori costitutivi di quell’odioso regime, perché non riducibile al modello patinato e docile di docente da vagheggiare, gente che, evidentemente, rimpiange le maestrine dalle penne rosse, mentre vorrebbe licenziare le maestre “rosse” e basta.
Siamo docenti, cioè intellettuali, non meri esecutori di direttive statali, specie in un momento storico in cui lo Stato utilizza la copertura retorica del suo altisonante nome per fare gli interessi di speculatori che hanno preteso e ottenuto la trasformazione della Scuola pubblica in una piazza di mercato e in semenzaio di manodopera gratuita e acritica.
Siamo vittime, come Lavinia, precaria e “flessibilizzata”, di quella “Buona Scuola”, varata con l’ennesima fiducia e con forzature procedurali inusitate da quello Stato che ormai non ha più un volto riconoscibile, ma solo la visiera dei poliziotti in assetto antisommossa, schierati e pronti a colpire ovunque studenti e insegnanti esprimano il loro dissenso, come lo scorso 10 Novembre a Roma.
Da intellettuali, dunque, ci sentiamo responsabili della denuncia delle derive antidemocratiche che rischiano di precipitare il paese in una nuova tragedia storica, il cui volto, apparentemente garantista, non sarebbe tuttavia meno liberticida.
In tanti anni di sovvertimento valoriale, ci hanno abituato a considerare “colpevoli” quanti scoprivano verità scomode o contestavano leggi regressive, piuttosto che i responsabili dell’inesorabile e intollerabile degrado etico-politico; soprattutto, ci hanno lentamente abituati, per il tramite di un’informazione asservita, a interpretare i fenomeni decontestualizzandoli, e a puntare il dito contro un nemico costruito allo scopo di convogliare la rabbia destinata ai manipolatori stessi.
Oggi è lei, Lavinia, il “distrattore delle masse”, una donna, una docente, una simpatizzante dei centri sociali, perfetta, dunque, come idolo polemico della borghesia italiana dalla doppia morale, quel “buon brodo” che, come diceva Gogol, “ha schiuma di furfante”.
La sua bottiglia di birra e la sua bocca aperta in modo “sguaiato” hanno impressionato e impensierito l’opinione pubblica, sapientemente orientata, assai più dell’efferato assassinio di due bambine da parte del loro padre, guarda caso uno di quegli idolatrati “servitori dello Stato” la cui arma d’ordinanza, mai ritirata neppure a seguito delle reiterate denunce da parte della disgraziata moglie, che lotta tra la vita e una dolorosa sopravvivenza, ancora una volta ha ribadito l’assetto gerarchico e patriarcale da cui il paese non vuole emanciparsi.
A differenza del femminicida, Lavinia non ha diritto ad essere compresa, “situata”; per lei non ci sono nemmeno le attenuanti generiche, da parte dell’autonominato tribunale popolare allestito per mettere alla gogna i portatori insani di pensiero divergente.
Esprimiamo la nostra costernazione di fronte alla notizia che nei confronti della collega è stata aperta addirittura un’inchiesta per istigazione a delinquere. Ancora più ci allarma il fatto che il capo di un partito, in piena campagna elettorale, ordini il licenziamento in tronco di una lavoratrice, con atto d’imperio, confondendo le categorie giuridiche con la propaganda e creando un precedente gravissimo. Anche la Fedeli, che tiene tanto ad essere chiamata “ministra”, non ha perso l’occasione di riprovare la reproba, per la quale ha sbrigativamente predisposto accertamenti indaginosi, provvedimenti disciplinari e sospensioni dal servizio. Provvedimenti propagandati ma che non hanno alcun fondamento giuridico nelle pur rigorosissime norme sul comportamento dei pubblici dipendenti. Principio fondamentale, che dovrebbe essere inutile ricordare, in un qualsiasi Stato di diritto è che nel privato, al di fuori dell’orario, degli obblighi e dei doveri di lavoro, così come stabiliti dalla legge scritta, ognuno è libero di scegliersi il profilo di vita preferito.
Dobbiamo dunque ritenere che, da domani, un gesto di cattivo gusto o una protesta ritenuta “poco urbana” contro l’Invalsi o l’alternanza Scuola-lavoro possano esserci ascritti a reato per le vie spicce dell’interesse e dell’odio politico?
E’ forse, il caso di Lavinia, un avvertimento intimidatorio? Dovremo temere, dunque, un occhiuto controllo sui nostri stili di vita, delle nostre frequentazioni, sulle birre che beviamo e sugli scatti d’ira non autorizzata? Chi deciderà cosa è incompatibile con l’idealtipo di docente profilato dalla distopia parafascista in cui ci stanno precipitando? Viene in mente il “manganello educatore” di Gadda e l’uso di vecchi metodi per una nuova repressione: quella del popolo della Scuola che non s’è arreso alla negazione e mercificazione del diritto all’istruzione. Tutte e tutti a questo punto diventiamo licenziabili.
Noi non accetteremo di essere allineati con la paura a questo pauroso nuovo corso. Né mai concederemo che l’antifascismo, con paradossale rovesciamento dell’ordine costituzionale, sia bollato come un reato. Abbiamo tutti gli strumenti critici per non cadere nelle trappole mediatiche del potere.
Il dovere imprescindibile di testimoniare e propugnare la libertà di chi pensa altrimenti è per noi un abito mentale e morale. L’abito più elegante che ci sia.
COBAS Napoli