Comunicato-stampa. Manganellate sulla scuola.
Manganellate sulla scuola.
Cronaca della giornata di sciopero generale di venerdì 10 novembre 2017.
Il 10 novembre 2017 c’è stato lo sciopero generale dei lavoratori convocato da Cobas, Usb, Unicobas e da altre sigle del sindacalismo di base.
Anche i lavoratori della scuola, docenti, ata, dipendenti delle ditte appaltatrici dei servizi esternalizzati, hanno scioperato e, oltre a cortei in varie città, hanno aderito ad un presidio di protesta, a Roma, di fronte al Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, che sarebbe dovuto proseguire poi di fronte alla sede della Camera a Montecitorio.
C’erano delegazioni da tutta Italia. Cinquanta dalla Sardegna. Cinquanta da Lucca, Pisa e Grosseto. Altrettanti da Salerno e Napoli. Delegazioni dal resto della Toscana, dalla Sicilia, dall’Abruzzo, dalle Marche, da Torino, da Trieste e, naturalmente da Roma e Lazio.
Circa quattrocento lavoratori della scuola che hanno espresso la loro opposizione allo strapotere dei dirigenti scolastici, alle ridicole proposte governative che prevedono per docenti ed ATA, dopo 10 anni di blocco contrattuale, un’elemosina di nemmeno 50 euro mensili, mentre per i dirigenti scolastici un aumento di 500 euro, alle 200/400 ore di Alternanza scuola-lavoro, ai quiz Invalsi, alla chiamata diretta e ai “bonus” decisi dai dirigenti per formare una “corte” di succubi. Circa quattrocento lavoratori che hanno chiesto aumenti che recuperino almeno il 20% di salario perso nell’ultimo decennio, l’immediata assunzione dei vincitori del concorso, degli abilitati e dei precari con tre anni di servizio su tutti i posti disponibili in organico, il potenziamento degli organici ATA, le immissioni in ruolo sui posti vacanti e il ripristino delle supplenze temporanee.
Fin qui tutto bene; terminati gli interventi al megafono, i partecipanti al presidio si sono disposti in corteo per unirsi agli altri lavoratori in sciopero dislocati in vari punti della capitale e raggiungere insieme Montecitorio. Percorsi appena un centinaio di metri, il corteo è stato bloccato dalle forze dell’ordine che ne hanno impedito il proseguimento, con la motivazione di sempre: “per motivi di ordine pubblico nella capitale non si autorizzano cortei”. Quattro furgoni messi di traverso, tutte e quattro le corsie di Viale Trastevere bloccate (a noi sarebbe bastata una sola corsia, per una mezz’ora, senza dare nessun fastidio al traffico cittadino – intenso per il riuscitissimo sciopero dei trasporti).
A questo punto occorre una precisazione: a Roma i cortei da tempo non vengono mai autorizzati preventivamente. Le forze dell’ordine valutano di volta in volta l’opportunità di consentirne il passaggio in virtù delle circostanze specifiche, che stavolta si presentavano del tutto analoghe a precedenti situazioni in cui le parti insieme hanno concordato la soluzione condivisa più opportuna.
Le stesse forze dell’ordine, quindi, in seguito alle nostre rivendicazioni (prima tra tutte il diritto a manifestare in piazza in una giornata di sciopero) hanno replicato che avrebbero autorizzato il corteo se lo stesso fosse stato composto da almeno 400 partecipanti. Accettiamo allora di essere contati: un poliziotto procede, ci conta ad uno ad uno, si perde tempo, mentre viale Trastevere è interamente bloccato. Risultiamo essere molti di più di 400!
La farsa continua, si tergiversa e si percepisce tutta la confusione di una gestione della piazza surreale. Intanto il corteo rivendica i numeri, iniziano le solite spinte per far arretrare i corpi, anche le minacce sono sempre le stesse: “state indietro, altrimenti vi fate male”. Alle spinte più forti il corteo cede, si cade, ci si rialza, si ha la sensazione (ma guarda un po’) che in piazza il confronto è sempre impari. Noi lavoratori della scuola, età da 50 anni in su, poche le eccezioni, senza caschi, senza manganelli, senza supporti a parare i corpi se non i corpi, senza idranti che a un certo punto appaiono sulla scena già grottesca, senza blindati e senza la tracotanza e i toni minacciosi che ricordano un regime ahinoi mai veramente finito.
Tutta quella messinscena ci ha meravigliati ma non ci ha minimamente intimiditi. Chiediamo quindi per l’ennesima volta di far partire il corteo… arriva la risposta, inizia la vestizione, il gioco conosciuto del machismo più esasperante: indossano i caschi, estraggono i manganelli, tre due uno… MANGANELLATE SULLA SCUOLA! E tutti giù per terra un’altra volta ancora. Due docenti vengono colpiti alla testa, uno riporta varie contusioni l’altro una ferita che è stata medicata con 5 punti di sutura.
Ci disponiamo a questo punto intorno al nostro camion, dal microfono ci comunicano che, dopo le botte – ora sì – ci avrebbero consentito il passaggio in piccoli gruppi, a condizione di deporre le bandiere. Noi pensiamo alle aste, non alla stoffa di rosso e bianco colorata, smontiamo le bandiere: la parte rigida di supporto sul camion, quella leggera di stoffa sui corpi. Altro smarrimento. Volevano far sparire i nostri simboli, le nostre sigle; ad una collega hanno intimato di togliersi il berrettino con la scritta “Cobas Sardegna”, di non portarlo nemmeno in mano, di buttarlo o nasconderlo. Volevano che non ci fossimo, che diventassimo invisibili! A quel punto valutiamo che la misura fosse colma; dopo quattro ore decidiamo di rinunciare al corteo e mantenere lì il presidio, di sembrare “indecorosi” piuttosto che deporre i nostri ideali e le nostre storie.
Così finisce la nostra giornata di mobilitazione: due colleghi feriti ed identificati in ospedale – dove ad una troupe di giornalisti di RaiNews24 è stato impedito di intervistarli – e la notizia che un agente della polizia avrebbe avuto un referto di quaranta giorni di prognosi, fatto, quest’ultimo, davvero assurdo in considerazione di quanto abbiamo vissuto e constatato di persona e di quanto si evince dalle immagini riprese dai lavoratori e dalla stampa presente.
Le manganellate di Roma volevano dirci che per il governo il dissenso contro la scuola dei quiz INVALSI, dell’alternanza scuola-lavoro, dei premi, degli staff e dei presidi-padroni deve essere invisibile. Soprattutto quello del sindacalismo di base che non si piega ai compromessi e non svende i diritti e la dignità dei lavoratori per il proprio tornaconto. Non ci sorprende non aver ricevuto alcuna forma di solidarietà dai sindacati concertativi, ché tale non può dirsi l’ambiguo comunicato di quella CGIL dalle cui fila proviene l’attuale ministra dell’Istruzione. Né ci sorprende, ma ci indigna, la lettura dei fatti di venerdì 10 novembre proposta da quella stampa ormai asservita e connivente ad una politica che non accetta che un’idea diversa, contraria allo sfruttamento del lavoro, alle privatizzazioni, all’individualismo proprietario, all’autoritarismo, al razzismo, alle discriminazioni di genere, alle devastazioni ambientali, alle speculazioni sulla salute, possa essere anche semplicemente espressa, a scuola come in piazza.
Venerdì 10 novembre noi abbiamo capito che la nostra ostinata e doverosa lotta contro la mercificazione della scuola ancora spaventa, che il dissenso resiste nonostante le numerose vessazioni che ogni giorno subiamo sul posto di lavoro, a dispetto di ogni decreto liberticida che possa inventarsi il Minniti di turno.
Noi c’eravamo. Ci siamo. E non smetteremo di esserci. Lo dobbiamo al significato che diamo ogni giorno all’insegnamento; lo dobbiamo alle future generazioni, ad un mondo che non può continuare ad essere asservito agli interessi padronali e alle logiche del neoliberismo.
14.11.2017
COBAS Napoli